Ma i cittadini sognano pecore elettriche?
Proprio un bel regalo di Natale! Finalmente la città si riappropria dell’ex caserma Artale. L’area, incorniciata da via Derna, via Roma, via Savi e via Nicola Pisano, a due passi da Piazza dei Miracoli, contiene la seconda piazza più grande della città, e torna dalla prossima settimana a essere uno spazio pubblico offerto alla cittadinanza. Dopo anni di impenetrabile e infrequentabile mistero, come caratteristico di tutte le aree militari, lo spazio (ora in attesa di una nuova denominazione), una volta protetto da alte mura e cancelli, diventa per la prima volta poroso e permeabile. Non più chiuso a riccio, piccola cisti monadica posta in uno dei punti più vitali della città, la struttura sa farsi ora tessuto aperto e frequentabile in grado di dialogare con ciò che la circonda. In questo senso la caserma, non più caserma, abbellita dai nuovi cinquanta alberi messi a dimora nella nuova configurazione, sembra rimare col vicino Orto Botanico, offrendosi come nuovo piccolo polmone della città, area di sosta e respiro nel percorso che porta il cittadino o il visitatore pedone dal fuori verso il centro, in una linea che lo congiunge con la preziosa risistemazione dell’Ospedale di Santa Chiara e lo instrada all’entrata della piazza più prestigiosa, in un percorso armonico che sa elevare l’accoglienza a sistema, migliorando anche la qualità di vita dei cittadini.
Nell’area sarà inaugurato uno studentato giovanile, gestito in accordo con il DSU, ricavato dal vecchio complesso delle camerate dei militari e un gruppo di appartamenti di edilizia convenzionata per le fasce più deboli, un intervento dal forte carattere sociale che contribuirà ad aumentare i residenti del centro. Dall’altra parte della piazza l’albergo a 5 stelle, che è stato ricavato dalla palazzina che fu degli ufficiali, offre il secondo lato di questa medaglia che evidenzia nelle due facce le due mission principali della città, quella della formazione universitaria e quella turistica.
Il Teatro del Fante, dato l’ormai completato recupero del Teatro Rossi, in quanto terzo teatro della città è stato ripensato come spazio multimediale che grazie alla sua modularità strutturale interna, sarà in grado di ospitare installazioni, mostre, concerti, musica e teatro, dando vita finalmente a uno spazio multimediale, vetrina di quell’arte contemporanea che a Pisa non ha mai avuto un luogo deputato. Altri volumi non tutelati da vincoli sono stati invece abbattuti, nella piena consapevolezza ambientale di come anche la restituzione di suolo sia parte integrante di una progettazione urbanistica che sappia guardare al futuro.
Quella che avete letto non è una fake news, ma un sogno, un sogno necessario; perché una città sana deve saper sognare e progettare il proprio futuro oltre che celebrare il proprio passato. Parte del sogno è preso anche dal futuro espresso dall’Amministrazione Comunale che nel 2007, quando tutta questa storia delle dismissioni delle aree militari da parte della Difesa prese corpo, aveva cominciato a fantasticare su cosa poteva succedere alla città in seguito al recupero delle caserme. Ma le cose ora potrebbero andare in maniera parecchio differente. L’intera area dell’ex caserma Artale (18.000 mq) è stata ceduta dal Ministero della Difesa al Demanio, da questo alla Cassa Depositi e Prestiti, per circa 8 milioni di euro e infine acquistata a un prezzo da svendita, 4 milioni, dalla San Ranieri Srl, un soggetto privato che risponde all’impresa AD di Firenze che ha presentato il proprio progetto di risistemazione dell’area: in questo lo studentato non è concordato con il DSU, ma sarà semplicemente in linea con le leggi vigenti in fatto di locazione, niente case per le fasce deboli, ma ventiquattro unità immobiliari definite in maniera generica, tranne specificare la presenza di “box auto”. Spunta come un fungo “un parcheggio pubblico multipiano fuori terra per 57 auto” e ci sarà un non meglio definito “albergo” di cui per il momento non si osa dichiarare le stelle. Il teatro non sarà destinato a divenire un centro d’arte contemporanea multimediale, ma un fin troppo spazioso minimarket. Ricavo per il Comune di tutta l’operazione 600.000 euro. È inquietante pensare quanto un bene pubblico prezioso come l’ex caserma Artale possa essere semiregalato a dei privati che ovviamente si muovono dietro la logica del loro profitto. Un processo come questo parte dalla convinzione che l’Amministrazione non ha le forze per amministrare il bene, allora si cerca la quadra nella messa in linea degli interessi del privato con quelli del pubblico, stilando delle indicazioni che vorrebbero essere vincolanti, ma che per il momento, e non solo nel caso specifico, sembrano rischiare di non avere la forza per imporsi. Il problema è che nella ristrutturazione della caserma Artale e dell’adiacente ospedale di Santa Chiara di cui troppo poco si parla (se ne immaginava il completo trasloco a Cisanello entro il 2012) si gioca una delle sfide più importanti per il futuro di Pisa. È inquietante pensare che il dibattito e l’attenzione che ora si sta progressivamente focalizzando sulla questione non ci sarebbero senza l’ostinazione e l’impegno con cui il consigliere comunale Francesco Auletta di “Una città in comune” è riuscito a far venire fuori dai cassetti della burocrazia il progetto che la San Ranieri aveva presentato e portarlo all’attenzione della città. Ne sono derivate assemblee cittadine con consequenziali scambi di idee, prime iniziative e silenziose preghiere nella speranza che il progetto fosse sottoposto a Vas (Valutazione ambientale strategica) e la messa in opera dei lavori ritardata. La cosa è avvenuta dato che la relazione redatta dal Nucleo comunale per le valutazioni ambientali ha sancito che il Piano di recupero della caserma Artale necessita di un maggiore approfondimento delle criticità, “non essendo possibile escludere impatti significativi/negativi sull’ambiente, derivanti dall’attuazione dei relativi interventi”. Le richieste di modifiche porteranno a implementazioni e cambiamenti del Piano, che in una fase successiva prevedranno un momento di consultazione pubblica della durata di 45 giorni in cui chiunque potrà prendere visione del nuovo Piano e presentare proprie osservazioni in forma scritta o elettronica, anche fornendo nuovi e ulteriori elementi conoscitivi e valutabili. E ancora: un appello a sostegno di un ripensamento sui destini dell’area ha trovato tra i primi firmatari studiosi del calibro di Salvatore Settis, Adriano Prosperi, Piero Bevilacqua; in questo, tra le tante richieste, citando il progetto del britannico Chipperfield, vincitore del concorso internazionale bandito quindici anni fa per la “Riqualificazione urbanistica del complesso ospedaliero universitario di Santa Chiara”, si torna ad invocare “la sostenibilità ambientale e sociale e la centralità dell’interesse pubblico, mettendo al centro possibili sinergie con l’Università, il Diritto allo Studio ed in stretto rapporto con l’area del Santa Chiara”. Ma non solo: rumors di palazzo dell’ultima ora dicono che la commissione urbanistica abbia trovato un vizio di forma e che il Piano verrà totalmente invalidato facendo ripartire tutto da zero. Il pericolo di una progettazione semplicemente lucrosa di un bene tanto prezioso e strategico appare per il momento scampato; ma il vero pericolo rimane l’assenza di progetto strutturato che comprenda tutta l’area prossima al Duomo. La mancanza di un pensiero più ampio e di ampio respiro che tracci un disegno armonico e lungimirante evitando quello che potrebbe essere uno sfregio permanente poi difficile se non impossibile da risanare. Un pensiero nuovo che parta anche dal confronto e che chiami a una partecipazione della cittadinanza e di tutti i soggetti interessati. Non può essere insomma sufficiente dire “no” ad alcune proposte, quanto cominciare a immaginare con forza il “come” dello sviluppo cittadino. Una vera rigenerazione urbana partecipata potrebbe essere utile per tutti, per chi amministra, per chi vive la città e per chi è chiamato a risistemarla. I cittadini non dovrebbero avere difficoltà a informarsi, ma essere chiamati a partecipare. I comitati cittadini dovrebbero riempirsi di idee e partecipazione con la stessa abnegazione che è stato possibile vedere alle prime assemblee alla chiesa dei Valdesi sul futuro dell’Artale: persone con faldoni di fogli e documenti, di appunti e possibili risoluzioni. L’affaire Artale potrebbe diventare la prima palestra in cui si coltiva una partecipazione che sa farsi illuminata anche perché perseguita e stimolata. Un momento in cui si coltivano idee talmente nuove e coraggiose da apparire sogni. In un momento in cui la politica non ha il coraggio di programmare a lungo termine, cercare un pensiero che non si consuma nell’immediato ci sembra quanto meno auspicabile.
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