Perché celebrarsi esplorando la noia
Uno: per giocare ad armi pari con i lettori (e vincere)
All’inizio degli anni Duemila Fulvio Pierangelini, all’epoca uno degli chef più quotati al mondo, inserì nel menù del suo ristorante di San Vincenzo (Livorno), il “Gambero Rosso”, gli spaghetti al pomodoro. Sosteneva che un cuoco, per mostrare il proprio valore, debba giocare ad armi pari con i suoi clienti, trasformando un piatto eseguibile da tutti in un capolavoro. Ecco perché nel numero che celebra i nostri dieci anni di pubblicazione abbiamo scelto di esplorare la “noia cittadina”. Per porre in massimo risalto quello che, ad oggi, riteniamo il carattere più nobile della linea di Seconda Cronaca: stimolare la curiosità dei lettori a partire da “ingredienti” della vita urbana accessibili a chiunque e incapaci, in apparenza, di stupire. Tramutare il tedio in notizia, a nostro avviso, è una virtù basilare per dei giornalisti di provincia: la realtà pisana, in fondo, è un susseguirsi di vicende ordinarie. Le storie raccontate in questa edizione, pertanto, le abbiamo scoperte indagando la routine di un anonimo pensionato, la solita Aurelia o la bacheca di un bar assai frequentato. Contesti in cui voi, lettori, non avreste colto un granché, per noi sono stati fonte di sorprese. Nessuno si offenda, è giusto così: una copia di Seconda Cronaca, altrimenti, non costerebbe quattro euro. (Sandro Noto)
Due: per cogliere notizie “negli abissi del nostro esserci” (elogio della noia) Avvertiamo la necessità di togliere alla noia la sua accezione sbrigativamente negativa. Rivendichiamo la noia come un momento base dell’atto conoscitivo, come elemento nobile di un certo giornalismo. Ora come non mai apprezziamo lo stare in ascolto del mondo senza cedere alla fretta del distrarci per forza, nell’automatismo ormai irrefrenabile e schiavizzante, di correre al primo suono dello smartphone, a visualizzare la breve, brevissima news di un post fornito in un social in cui abbiamo già scelto di chi ascoltare la voce, di chi rimasticare con gioia il già condiviso. Quando “ci si annoia” (passando addirittura all’impersonale) entriamo in uno stato particolare, “una nebbia silenziosa, si raccoglie negli abissi del nostro esserci, accomuna uomini e cose, noi stessi con tutto ciò che è intorno a noi in una singolare indifferenza. È questa la noia che rivela l’esistente nella sua totalità”, dice Heiddeger. Questa nostra valorizzazione della noia consente di guardare un elemento, una situazione, tradizionalmente definito “annoiante”, un po’ più in profondità. È possibile allora portare alla luce il fenomeno che è, partendo dall’altro assunto base che è nostra caratteristica di umani essere dei fenomeni, fenomeni unici e irripetibili. La noia ci aiuta così a svelare ciò che era invisibile a un primo impatto anche ai nostri occhi e porgerlo ai tanti curiosi, solo un pochino più distratti, perché sistematicamente in fuga dalla noia. (Franco Farina)