Archivio onirico pisano

Mai il giornalismo è stato così rutinario. Tutto evoca il Covid-19, dalle prime pagine agli oroscopi. A un subbuglio epocale è corrisposto un logorante appiattimento mediatico. Un paradosso “al quadrato”: il collasso dell’informazione su un’unica vicenda, sebbene eclatante, via via conduce all’impassibilità del pubblico. Un fenomeno perciò ovvio (tale è ormai il virus) che preclude inoltre l’azione umana e quindi l’origine delle storie. Nell’attuale monotonia, dove si celano allora le sorprese (ossia le notizie)?
All’inerzia corporea istigata dal Covid-19, si contrappone forse un fermento dell’immaginazione. In fondo ciascuno adesso è intento a rimodulare la propria identità proiettandola nell’incerto mondo post-pandemico, tra dilemmi pratici (“crolleranno gli interessi sui mutui?”) ed esistenziali (“sarò una persona migliore?”). Se dunque l’astratto è divenuto più stupefacente (cioè “notiziabile”, ribadisco) del reale, un giornale dovrebbe occuparsene, delineando magari una “cronaca dell’invisibile”.
Un’ambizione che in Seconda Cronaca spingiamo all’estremo, chiedendovi di raccontarci i vostri sogni (incubi inclusi, come da foto). È infatti accertato da psicologi, psichiatri e neurologi che l’emergenza sanitaria stia invigorendo l’attività onirica. E condividere la propria significa iniettare nel vissuto quelle sane fantasie che la pandemia ci sta inibendo: fatelo scrivendo a redazione@secondacronaca.it. Lunghezza a piacimento: non scorceremo né correggeremo i testi. Firmateli, almeno con uno pseudonimo.

Di seguito riportiamo i sogni arrivati finora in redazione.


28 maggio 2020

Un gelato, per carità. Solo un gelato di Margherita Guerri

La città che non conosco, ma in cui nel sogno vivo da sempre, è ancora semi-deserta. Nessun negozio aperto, cammino adolescente tra le saracinesche chiuse insieme ad un gruppo di miei amici, con la mascherina. Loro parlano, io mi guardo intorno stranita e felice di questa nuova normalità. Ma ecco che, al lato opposto della tipica piazzetta con fontana, mi appare l’unico negozio aperto: una gelateria. È una gelateria per Cani e Gatti. Penso che sia strano, che “accidenti ma dove ci ha portato il capitalismo?”, ma che alla fine è meglio di niente. Entro sicura e vado al bancone, ma nessuno si rivolge a me, forse perché non sono un cane e neppure un gatto, penso. Riesco ad attirare l’attenzione di un commesso ed ordino un cono riempito di panna, con sopra del gelato alla Nutella e sopra altra panna. Ripeto e mimo mostrando con la mano l’ordine degli strati, visto lo sguardo vacuo del gelataio: panna-Nutella-panna. Nei suoi occhi, niente. E pensare che ho anche chiesto una cosa semplice. Alla fine il gelataio si volta verso il retro del negozio, e urla la mia ordinazione a qualcuno che non vedo. Aspetto. 

Il gelato arriva, dopo quelli che sembrano secoli, ed è appoggiato accanto alla cassa, in uno di quei porta-coni di metallo che hanno le gelaterie. Devo pagare, ma non accettano soldi normali. Con me ho sei spicchi di aglio e dei rametti di fiori di pino. La signora della cassa si mette a contare il valore della merce che le ho portato, scocciata. Aglio: 10 centesimi ogni spicchio, rametti 20 centesimi… È un po’ come quando i gettoni valevano 200 lire, penso, mentre vedo il gelato lentamente ed inesorabilmente sciogliersi sul bancone e la cassiera conta imperterrita e concentrata. Quando finalmente alza lo sguardo, da dietro gli occhiali da lettura con catenella rossa che ha appoggiato sul naso: «Signorina, non arriva alla cifra così…».

Mi rimetto a cercare nella mia borsa ma non trovo altro, la cassiera è sempre più scocciata ed io sempre più arrabbiata perché il gelato si sta sciogliendo; inizio a contrattare sul valore dell’aglio. «Non è possibile, ogni spicchio vale almeno venti centesimi, e poi i rametti con i fiori… ».

La contrattazione va avanti, i toni si sono ormai scaldati, il gelato anche ed ormai cola sul bancone tra la noncuranza di tutti i presenti, gelataio zombie compreso. Me ne esco senza cono, sono triste e con la voglia di gelato. Ritrovo i miei amici che stanno facendo i ganzi, come in una serie anni ‘80, intorno alla fontana. Penso che sembrano proprio “I ragazzi del muretto” e che, alla fine, mi sa che mica li conosco. 

Mi sveglio così. Ed ho ancora la voglia di quel gelato.


27 maggio 2020

Da Minosse a Christian De Sica di Sara Parton

Il sogno più raccontabile dei numerosi degli ultimi due mesi lo feci all’inizio, e fu un po’ angosciante. Nuotavo per un tratto di mare fino a raggiungere una parete rocciosa dove mi arrampicavo. In cima trovavo una reception dove c’era il Minosse dantesco che mi ammetteva nell’Aldilà. Nonostante l’angoscia, passati di là non era male, era un villaggio rurale africano. Mah.

Più allegra è l’esperienza di Agata, che ha risposto al mio appello su Instagram e ha detto che potevo condividere con voi questo capolavoro onirico. Vi scrivo il messaggio pari pari come me l’ha scritto lei: “Ho sognato che Christian de Sica voleva uccidermi e che il mio esame di chimica organica consisteva nel determinare tutte le reazioni che avvengono quando si fa il ragù”.


15 maggio 2020

Sullo scooter con Berlusconi di Sandro Noto

Ho sognato che sfrecciavo su uno scooter in coppia con Silvio Berlusconi. Guidavo io e non portavamo il casco. Il mezzo era un Piaggio NRG bordeaux (detto “Energy”), modello di tendenza fra i teenager pisani di metà anni Novanta (contemporaneo perciò alla “discesa in campo” del Cavaliere). Un dettaglio che riconduce la visione alla mia adolescenza, benché avessi l’aspetto odierno. Berlusconi invece era ringiovanito e rimpicciolito; così l’iconico doppiopetto gli cadeva largo esasperando lo svolazzo controvento. Fuggivamo come scippatori da un pericolo che ho dimenticato, insofferenti l’uno all’altro però complici. Percorrevamo ignote strade gremite di bambini che giocavano in calzoni corti.