Come adeguarsi alle mascherine chirurgiche grazie al teatro in maschera
di Franco Farina e Sandro Noto foto di Erica Artei
Seconda Cronaca conobbe l’attore fiorentino Duccio Bellugi Vannuccini nell’estate del 2017 a San Miniato, lavorando a un reportage su Prima del Teatro. Pilastro del Théâtre du Soleil, storica compagnia avanguardista di Parigi, stava conducendo un seminario sull’improvvisazione connessa all’uso di maschere balinesi e della commedia dell’arte.
Ci parlò di come la maschera sul corpo dell’attore permetta la straordinaria apparizione di un personaggio e di come il corpo per accoglierlo debba sapersi modificare; di come l’attore debba indossare la maschera attraverso un ben preciso rituale. Solo a queste condizioni assistiamo alla sparizione dell’attore e alla comparsa di un Arlecchino, di un Brighella o di un bondres balinese. Solo se sa fare questo l’attore può dar vita al personaggio, altrimenti “soffocherà” sotto la maschera.
A Duccio, che di maschere appunto se ne intende e parecchio, dal punto di vista antropologico, teatrale e formativo, abbiamo chiesto che ne sarà di noi adesso che una maschera particolare siamo costretti ad utilizzarla e col suo diminutivo in “ina” non assicura certo di essere meno potente ed innocua. Le mascherine chirurgiche imposte dal Covid-19 alterano infatti l’umore, la fisionomia e il tono della voce, costringendoci a rivisitare la nostra identità. Enfatizzano il ritmo e l’odore del fiato, rendendocene consci tra stupore e disagio. Così in questa video intervista realizzata da Sandro Noto e Franco Farina l’attore Duccio Bellugi Vannuccini ha immaginato (“giocando”) quali benefici potremmo attingere dall’arte della scena per affrontare la routine ai tempi del Covid-19 (spoiler: nei palcoscenici il “distanziamento sociale” è da sempre una regola).