Lo strano caso della testa falsa di Modigliani battuta dieci piatti di pasta
Una pizzeria di Porta a Lucca lo scenario
di Antonio Petrolino foto di Alice Falconcini
L’ultima volta che ho preso il telefono per Seconda Cronaca era di febbraio. Vi ho registrato sopra un’intervista mentre il fuoco di un forno a legna scoppiettava fastidioso in sottofondo. Mi trovavo, con Alice alle foto, al bancone della pizzeria La Spigolatrice, in via Cagliari. Quel forno è spento dal 9 marzo. In aprile, invece, questa storia avrebbe dovuto uscire sul cartaceo. Vi si racconta di arte, Livorno e piatti di pasta. Ma quel numero non c’è stato. Nell’attesa di tornare in pizzeria, in edicola e, sì, anche a Livorno, ho creduto di sfornarlo questo fatto curioso successo a Porta a Lucca nel 1984. Occhio che scotta.
Vittorio, pizzaiolo e gestore della Spigolatrice: «Non lo so se può avere un valore sul mercato, una volta un tizio mi offrì trecento euro per portarla via questa testa, ma io rifiutai. Non lo so, forse non vale niente, so soltanto quanto ho pagato io per averla: dieci piatti di pasta». Seconda Cronaca: «Come dieci piatti di pasta?». Vittorio: «Ok, partiamo dall’inizio».
Nell’agosto del 1984 i livornesi confezionano il più grande capolavoro della storia dell’arte labronica: la beffa di Modigliani. La storia è nota, ma troppo bella per non spendervi qualche riga. In città da decenni si fa strada la leggenda secondo la quale Amedeo Modigliani in un momento di ira e delusione, dovuto alla scarsa considerazione degli artisti del Caffè Bardi verso le sue opere, avrebbe caricato su un carretto tre figure di testa scolpite su blocchi di pietra e, giunto sul Fosso Reale, le avrebbe lasciate cadere oltre il muretto. Autorevoli personalità (e persino la figlia di Modì) additano questa storia come immaginaria e inverosimile, ma personaggi di altrettanto rilievo nel panorama della cultura italiana vi danno credito. Fatto sta che nell’agosto del 1984, appunto, i livornesi cominciano a dragare il Fosso Reale in cerca delle teste. Negli stessi giorni, però, altri livornesi preparano il capolavoro. Tre studenti prima e un artista dopo scolpiscono un totale di tre teste su blocchi di pietra e le lanciano nel fosso. Dopo qualche tempo le draghe le ripescano e la comunità di storici dell’arte di mezzo mondo ci casca fragorosamente. Non tutti ovviamente, ma molti e illustri. I primi falsari a venire allo scoperto sono i tre studenti che si mostrano ritratti con la testa scolpita prima del lancio nel fosso e vanno in tv, da Speciale TG1 e Maurizio Costanzo show, a mostrare come si scolpisce un Modigliani in meno di due ore. Per critici, soprintendenze e storici dell’arte coinvolti è una beffa colossale, forse mai eguagliata.
In quei giorni, a Pisa, un falegname ripete le sue giornate identiche in via Cagliari. Al mattino sveglia e lettura giornali alla Spigolatrice (che al tempo apriva anche come bar), poi a lavoro nella bottega, che poi è un garage in fondo alla via, e la sera di nuovo alla Spigolatrice a prendere un piatto caldo di pasta da portare a casa (che è sopra il garage). Il falegname non mangia mai nei locali della Spigolatrice per contenere i costi. Relativamente alla condizione economica non attraversa un periodo sereno della propria esistenza. Si chiama Piero Sbrana e ha sessant’anni.
Una di queste identiche mattine Sbrana sta sfogliando Il Tirreno mentre beve il caffè. Vittorio: «Ecco, ora io non posso ricordare i dettagli, ma certo è che andò pressappoco così: sul Tirreno si parlava della storia delle teste di Livorno e degli studenti che le avevano scolpite in due ore. E allora Sbrana deve aver detto qualcosa del tipo “Eh, ci vuole anche meno tempo a farle” e qualcuno deve avergli risposto “Falle te allora, se sei bravo!” e lui deve avere commentato qualche altra cosa come “Se poi qualcuno me le compra, le faccio sì!” e io devo avere detto “Una testa te la compro io. Quanto vuoi?” e lui rispose, di questo sono certo, esattamente così: “Se mi dai dieci piatti di pasta da portare via, vedrai se te la faccio!” E io accettai all’istante». Eccola la testa, di certo non esposta, più che altro si direbbe appoggiata a una mensola accanto a un dispenser di accendini. Entrambe le opere, testa e dispenser, sono senza dubbio espressione degli anni Ottanta. La testa è custodita dentro una teca di legno e vetro dentro la quale lo stesso Piero Sbrana la consegnò. Vittorio: «Saranno passati quattro o cinque giorni e Sbrana tornò con la testa dentro questa teca. L’aveva scolpita su un pezzo di pietra serena che aveva in garage. Ci tenne a precisare che ci aveva messo meno di due ore: un’ora e cinquantadue minuti. È bella vero? Sbrana aveva una grande mano. In casa nostra ci sono tutti i mobili fatti da lui su misura». La testa viene ammirata dai clienti del locale e la voce, che in una pizzeria di Porta a Lucca c’è una testa uguale a quelle di Livorno, si diffonde veloce tanto è che un collega del Tirreno dell’epoca va a trovare Vittorio e Piero Sbrana alla Spigolatrice. Il cronista chiama la testa della Spigolatrice “Modì 5”.
Seconda Cronaca: «Vittorio, le teste di Livorno erano tre, perché “Modì 5”?». Vittorio: «Perché Sbrana disse che ne aveva scolpita un’altra, la quarta testa, ma nessuno l’ha mai vista». Piero Sbrana è morto da più di dieci anni. Di “Modì 4” ancora nessuna traccia.